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L’impresa dei Mille

Melologo per attore e cinque strumentisti su testo di Pietro Conversano

prima esecuzione: 28-10-2010
organico: Attore, flauto, oboe, clarinetto, fagotto, percussione (1 esecutore)
edizione: Autore
luogo: Foggia
esecutori: Conversano, I Solisti dauni - direttore Domenico Losavio
presso: Teatro del Fuoco
 

Rievocare, attraverso la forma del melologo, una storia patria così nota e al contempo così rilevante nella formazione stessa dell’immaginario collettivo del popolo italiano, come “l’impresa dei mille” (ovvero l’epica vicenda che segnò la presa del Regno delle Due Sicilie), non è faccenda che si possa risolvere facilmente. “Retorica” e conseguente “inautenticità” sono tristi e polverosi compagni di strada all’autore che non presti la massima attenzione a trovare un punto di vista particolare sulla storia, uno “sguardo” che riesca a restituirla di nuovo “originale”.

Certo, “l’impresa dei mille”, nonostante il fiume di parole ed immagini che ci hanno letteralmente travolto sin dai tempi in cui tutto accadde, rimane una storia avvincentissima e  per così dire “simpatica”. “Simpatico” è il suo protagonista, Garibaldi, la cui abilità guerresca unita ad una straordinaria generosità, lo disegnano ”eroe perfetto”, degno di abitare nelle più antiche e nobili saghe. “Simpatici” sono i “mille”, un manipolo raccogliticcio il cui strenuo entusiasmo letteralmente spazza via l’antico Reame delle Due Sicilie. Non è difficile dunque “sentire allo stesso modo” (riappropriandoci dell’originale etimologia della parola “simpatia”) con questi personaggi, immaginandoli reali e prossimi a noi; tutt’altro che statue equestri o vuoti simulacri a cui donare vuote ed insincere parole d’elogio.

Il testo curato da Pietro Conversano spazza via ogni ulteriore tentazione retorico-encomiastica ricostruendo una sorta di “metadiario” della spedizione dei Mille che è somma e sintesi al contempo delle molte testimonianze letterarie che sono state scritte dai protagonisti di quei fatti. La forma diaristica naturalmente predilige “l’intimità” del sentire  piuttosto che  il “grande affresco” e su questa falsariga ho cercato di inventare una musica che seguisse passo passo il testo, evocandolo con semplici figure musicali, spesso aguzze e stilizzate. In tal modo personaggi, luoghi, battaglie, ma anche pietà per i morti e gli sconfitti oppure gioie e tripudi, entusiasmi, e ancora: notturni, lo sciabordio delle onde, la pioggia che cade, l’avemaria… diventano tutti degli spunti per l’invenzione di brevi motti musicali adatti a suggerire, interpretare tutti questi piccoli o grandi accadimenti. La musica, quindi, via via  intonerà canzoni popolari, canti patriottici, fanfare, il clangore delle battaglie… ma anche la pioggia che cade, il telegrafo, il commiato, la perdita…

L’evocazione avviene attraverso vere e proprie “figure musicali” mai attraverso “rumori”; mi interessa la trasformazione dei “gesti letterari” in “gesti musicali”, che a loro volta, si  ricompongano in vere e proprie forme musicali: altrimenti non farei un lavoro di compositore ma di mero “rumorista”. Le varie tappe del “viaggio” dei mille diventano altrettante scene musicali in cui i  peculiari elementi musicali che le caratterizzano sono continuamente trattati e modificati attraverso la tecnica della variazione.

Il melologo ha bisogno di un perfetto equilibrio tra l’intonazione della voce e quella della musica: l’incontro riesce solamente quando voce e musica viaggiano in sincronico parallelismo; la prevalenza di una sull’altra vanifica l’incontro tra le due espressioni e rende opaco tutto il lavoro; ma, se l’incontro è fortunato, la musica agisce sul testo cambiandone in qualche modo prospettiva: il “realismo” del testo è messo “tra parentesi” dal tempo non “rettilineo” ma “psicologico” che governa l’andamento musicale e il “racconto” tende naturalmente a trasformarsi  in “racconto mitico”. Ho cercato di assecondare questa caratteristica sia attraverso la stilizzazione, soprattutto di tutto ciò che sentivo particolarmente legato “all’ottocento” sia cercando di comporre una “grande forma” che assecondasse il “tempo circolare” del mito. Così il finale riprende l’inizio alludendo ad un’avventura che si compie e si ripete infinitamente.

categoria: Composizioni su testi poetici
vedi anche: clarinetto | fagotto | flauto | melologo | oboe | percussioni
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    Concerto di Eugenio Della Chiara

    gio 24 marzo 2022
    ore 19:00
    Amburgo - Istituto italiano di cultura
     

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    Tre liriche cinesi

     

    Tre intermezzi alla notte

     

 
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