I tempi di Dafne

Concerto per due clavicembali e orchestra d’archi

prima esecuzione: 16-02-2012
organico: 2 clavicembali, archi
edizione: Sonzogno
durata: 22 min
luogo: Milano
esecutori: Salerno, Croci, Orchestra dei Pomeriggi Musicali di Milano - direttore Marco Guidarini
presso: Teatro Dal Verme
 

Recensione di Paolo Castagnone
Nel primo libro delle “Metamorfosi” Ovidio racconta che Apollo si vantava di saper tirare con l’arco come nessun altro. Cupido punì la sua presunzione colpendolo con una freccia e facendolo innamorare della bella ninfa Dafne; ma quest’ultima aveva consacrato la sua vita a Diana. L’amore di Apollo era irrefrenabile e Dafne dovette chiedere aiuto a suo padre Penéo, signore dei fiumi, il quale la trasformò in un albero di alloro pur di impedire ai due di congiungersi. Il dio dell’Olimpo, ormai impotente, rese la pianta sempreverde e la consacrò agli onori e all’arte.

Proprio a questo mito classico è intitolato il Concerto per due clavicembali di Carlo Galante, che così ci racconta la sua forma: «La canonica struttura tripartita vuole evocare il racconto mitologico: il primo movimento –  “Lieve” – è dedicato a Dafne ed ha un carattere tenero, con l’ordito clavicembalistico che accompagna i brevi motti melodici degli archi. Il seguente “Sostenuto” impersona il temperamento solare e terribile di Apollo, evocato da sequenze di accordi maggiori con l’aggiunta dell’ottava eccedente. L’ultima sezione, “Inseguimento e Metamorfosi”, è rapinosa nella prima parte – in cui si immagina l’inseguimento amoroso – ma si distende infine in una sorta di “passacaglia” quando Dafne si trasforma in albero. L’atmosfera si fa via via più rarefatta e tutti gli strumenti, con piccoli “tocchi”, ritrovano la loro primigenia “anima lignea”, compiendo essi stessi, metaforicamente, la metamorfosi della ninfa».

L’autore si ispira agli amati clavicembalisti francesi, da Couperin a Rameau, per legare elementi narrativi alla propria partitura e, a tale proposito, afferma che la musica non può raccontare ma solo evocare e, nella sua personale rilettura di questo mito, si aggiungono componenti estranee, che “contagiano” di quotidianità il sublime. «Dafne – afferma Galante – è per me una piccola e incantevole bambina (la mia amatissima figlia), a cui è dedicato questo concerto e che, nella mia immaginazione di compositore, trascolora nella ninfa amata da Apollo. Tutto è giocato sulla molteplicità di significati della parola “tempi”: sono contemporaneamente i “tempi” del mito, i “tempi” di una neonata, ma anche i “tempi” musicali in cui il “sortilegio” dell’evocazione si compie. “Tempo” è la parola chiave per mettere ordine a sollecitazioni tanto diverse: l’arcano racconto mitologico, i delicati movimenti di un’infante, le amate e antiche musiche, servono proprio a sospendere il Tempo, per approdare ad una dimensione metafisica in cui Passato e Presente non sono mai opposti».

Parlando del passato in una dimensione storica è invece opportuno domandare a Carlo Galante quale sia il rapporto con la tradizione del concerto per clavicembalo: «Ho riflettuto a lungo per trovare sia una scrittura tastieristica originale, sia un’adeguata compilazione formale; durante il lavoro avevo sempre l’impressione che dopo i concerti di Bach – capolavori assoluti e sommo esempio di equilibrio tra i cembali solisti e l’orchestra – bisognasse ripensare un po’ tutto da capo. Il dilemma era: assecondare le specifiche peculiarità di questo nobile e antico strumento oppure, con un atto di forza, cambiarne radicalmente i connotati? Mi sentivo lontano dai lavori novecenteschi; il clavicembalo a cui fanno riferimento è uno strumento diverso – per esempio ha un suono molto più “aggressivo” – ed ha caratteristiche timbriche assai meno allettanti. Di conseguenza ho optato per la prima ipotesi, che mi è molto più congeniale: sono ripartito dal repertorio francese di fine Seicento, reinventando figure musicali e soluzioni strumentali tipiche di quella letteratura musicale. Non c’è però alcuna volontà di parodia: non indosso nessuna “maschera”, non mi acconcio con nessuna “parrucca”, il materiale musicale che uso è antico e moderno allo stesso tempo, si comporta come il DNA del nostro codice genetico, che contiene tutta la nostra storia ma dona il miracolo della vita ogni giorno».