Animali parlanti e altre creature

Tre racconti musicali da Saki

prima esecuzione: 20-09-2020
organico: Attore, flauto, clarinetto, pianoforte, violino, violoncello
edizione: Autore
durata: 35 min
luogo: Pordenone
esecutori: M. Tintirello, AltreVoci Ensemble - Direttore Eddi De Nadai
presso: Festival Pordenone Legge
 

Testo a cura di Carlo Galante

Saki. Animali parlanti e altre creature - PordenoneLegge - Pordenone, 20 settembre 2020

Gentile pubblico, sono Carlo Galante, il compositore che ha scritto la partitura “Animali parlanti e altre creature” tre racconti musicali su testi di Saki che ascolteremo dopo questa mia breve introduzione all’opera dello scrittore scozzese. Devo innanzi tutto scusarmi con voi e sollecitarvi, al contempo, a un minimo di rassegnazione: non sono un critico letterario e meno che mai un anglista, ma semplicemente un “lettore accanito” fin da quando ero un ragazzo e da quella primitiva condizione non mi sono mai emancipato; non ho mai fatto “carriera” nelle lettere, se così si può dire.

Ho avuto il grande piacere di conoscere i racconti di Saki (pseudonimo di Hector Hugh Munro) tantissimi anni fa, ancora da ragazzo, grazie al mio autore preferito, Jorge Luis Borges. Il grande autore argentino aveva compilato una meravigliosa raccolta di letteratura fantastica, la Biblioteca di babele, che il compianto Franco Maria Ricci editava in quegli anni in preziosi volumetti (una delle più belle edizioni moderne a stampa in lingua italiana, a mio modesto parere).

Compravo questi libri a scatola chiusa perché ero certo che mi sarebbero piaciuti, così mi arrivò tra le mani anche “la reticenza di Lady Anne”, che comprendeva una decina di racconti dell’autore scozzese (che mi era totalmente sconosciuto). L’umorismo nero, la penna intinta nel vetriolo, l’eleganza suprema del linguaggio, mi catturarono immediatamente. Lessi avidamente e con supremo divertimento la breve silloge e mi affrettai ad acquistare anche il suo romanzo L’insopportabile Bassington che l’editore Einaudi pubblicò per la prima volta nel 1950 assieme ad una ben più nutrita raccolta dei suoi racconti.

Saki (1870-1916) era di stirpe scozzese ma nato nella lontana provincia dello smisurato impero britannico allora chiamata Birmania. Il padre era un funzionario imperiale di un certo rango, ma l’avventura coloniale della famiglia Munro ebbe un tragico quanto stravagante epilogo: la madre incinta venne caricata da una mucca (!!!), perse il bambino e immediatamente dopo anche la sua stessa vita.
La triste vicenda segnò profondamente la vita dello scrittore, innanzi tutto perché la sua educazione, insieme a quella della sorella Ethel, fu affidata in Scozia alle zie Augusta e Carlotta, che pare fossero imparzialmente detestabili. Condannato a un’infanzia solitaria e severamente vigilata dalle terribili zie conobbe in Inghilterra la solitudine e la triste lontananza dai suoi cari.

“L’infelicità di un bambino sa essere un meraviglioso ausilio alla memoria – ci ricorda Graham Greene, nella sua bella introduzione alla raccolta completa dei racconti di Saki edita dal Saggiatore – e le storie migliori di Munro riguardano l’infanzia, i suoi lati divertenti e l’anarchia, ma anche la sua crudeltà e sofferenza”.

In “Sredni Vashtar”, forse uno dei suoi racconti più belli, la scrittura brillante e piena d’ironia nasconde appena l’autobiografica triste esperienza di bambino abbandonato. E’ la storia di un giovanissimo orfano allevato da una detestabile cugina adulta e di un furetto nascosto in un capanno e adorato dal piccolo protagonista come una misteriosa divinità (ma forse, un dio, lo è per davvero, oppure la forza soprannaturale che anima l’animale proviene proprio dal bambino che è lui stesso un dio, senza saperlo). Non dirò di più, perché come in tutti i racconti dello scrittore britannico il finale è tutt’altro che scontato;  accenno brevemente che la cugina alla fine non se la passerà proprio benissimo.

Saki, ci informa Borges con la sua suprema erudizione, significa in persiano “coppiere” e deriva dalle Rubaiyyat, ovvero componimento poetico in quartine (celebri quelle del poeta e astronomo persiano Umar Khayyam). L’informazione è sicuramente attendibile, sebbene l’ironia sublime ma vagamente mercuriale del grande argentino (tratto che io adoro) potrebbe anche sviarci, essere frutto di uno scherzo erudito (io non sono certamente in grado di asseverare la sua dichiarazione).  Ho letto, non so dove e non so quando, che Saki è (anche?) il nome di una divinità minore del Pantheon indù, protettore dei piccoli animali domestici. Questa informazione, sebbene risulti vivida nella mia memoria, è evidentemente falsa o frutto della mia immaginazione perché non sono riuscito a ritrovarla da nessuna parte. Ma mi piace pensare che sia verosimile, dato l’amore che lo scrittore provava nei confronti degli animali (non a caso detestati dalle sue orribili zie). Nella sua opera abbondano le esecrabili e arbitrarie persone adulte, la cui sola presenza basta a frustrare la vita di coloro che le circondano, e l’amicizia degli animali, in cui c’è sempre qualcosa di magico, è al contempo un balsamo e una rivalsa.

Rivelatore è il titolo di una delle sue più belle raccolte di novelle: Bestie e superbestie. Una sorta di trattato di zoologia fantastica declinato in corrosiva ironia e arguto umorismo, in cui troviamo gatti parlanti (e come parlano bene!), gentildonne che si reincarnano in lontre, lupi mannari, balzani cavalli dal carattere aspro, un enorme maiale bianco dall’assurdo e magnifico nome di Tarquin Superbus (Tarquinio il superbo) e molti altri.  Tarquinio il Superbo è coprotagonista de “il maiale”, un racconto che, per varie ragione, vorrei proporre alla vostra attenzione. In poche esemplari pagine è satirizzata la grettezza e lo snobismo del mondo degli adulti, rappresentato dalle signore Stossen, madre e figlia che cercano (invano) di imbucarsi in un prestigioso garden-party a cui non erano state invitate; mentre l’infanzia ha come incantevole campione la tredicenne Matilda.

Spartiacque tra i due mondi c’è l’enorme maiale bianco Tarquinius, mostruoso agli occhi delle tediose Stossen ma amorevole per Matilda. La ragazza, la cui arguzia non ha proprio nulla d’infantile e parla una lingua precisa, squisita e calibratissima, ha una comprensione totale della situazione.  Giudica, con imparziale malizia, le due signore assolutamente meritevoli dello scherzo che mette prontamente in atto a loro danno. Vedendole, dall’alto della sua postazione arrampicata su di un albero di nespolo, cercare di allontanarsi velocemente dal giardino avendo trovato la porta secondaria del garden party sbarrata, immediatamente (in un’età in cui il pensiero è azione -commenta lo scrittore) libera dal recinto l’enorme maiale che si mette tra le due intruse e la via della salvezza.

Il dialogo a tre che nasce da questa situazione è surreale e divertentissimo: Saki ha un vero colpo di genio quando fa parlare Matilda alle due esasperate e terrorizzate snob in francese (che naturalmente capiscono a stento). Una spassosa contrattazione in denaro per togliere dall’impiccio le due dame è l’elemento narrativo che mette fine al racconto. Le vittime, commenta Graham Greene, risultano abbastanza sciocche da non suscitare simpatia: sono persone mature e di potere, ed è giusto che soffrano un’umiliazione almeno temporanea. Dietro l’esercizio supremo di acido umorismo essenzialmente inglese Saki mescola sapientemente l’orrore, il soprannaturale, un certo sadismo nell’invenzione di scherzi atroci (spesso ideati dall’acuto, malefico ed elegantissimo Clovis, antieroe che attraversa molti dei suoi racconti) e soprattutto la satira implacabile verso la tracotante società britannica della sua epoca, retta dall’organizzazione del tedio e dalla ripetizione infinita di alcune abitudini.

Molti commentatori ritengono che i racconti di Saki possano ascriversi al genere horror, ma io non ne sono affatto sicuro: l’orrore che spesso è presente nelle sue narrazioni è sempre disciolto, quasi sterilizzato dall’umorismo. La sua scrittura non ha mai quella tinta scura e ossessiva che connota quel genere letterario, ed è infinitamente più raffinata. Borges descrive la sua arte con simpatia e precisione e proprio con le sue parole vado a concludere questa mia breve presentazione: con una sorta di pudore Saki dà un tono di banalità a racconti la cui intima trama è amara e crudele. Questa delicatezza, questa levità, questa assenza di enfasi può ricordare le deliziose commedie di Wilde.

Carlo Galante