Percorso notturno con carillon: intervista a Carlo Galante

di Alice Bertolini (I pomeriggi musicali)
6 febbraio 2006

Un’eco mozartiana si avverte lungo tutto il Percorso notturno con carillon di Carlo Galante. Commissionata dalla Fondazione I Pomeriggi Musicali ed eseguita qui in prima assoluta, l’opera non nasconde l’intento di rendere omaggio al Salisburghese nel 250° anniversario della nascita. Galante sceglie di citare un brano in particolare: l’Andante cantabile della Sonata per pianoforte in Do maggiore K 330, la “Parigina”, che Mozart scrisse nella capitale francese quando aveva 22 anni, nel 1778. Il candore e la leggerezza di quel tema vengono evocati da un immaginario carillon, sfruttando le caratteristiche sonorità ora del glockenspiel ora del flauto, ma anche di altri strumenti dell’orchestra. “Mi è sembrata la melodia perfetta – spiega il compositore – per creare delle piccole oasi serene e luminose all’interno di una partitura fitta di inquietudini”.

Maestro, come si articola il brano?

L’ho immaginato come un viaggio nell’insonnia, diviso in cinque tappe che contrastano l’una con l’altra. Sezioni lente e sottilmente angosciate si alternano, interrompendosi a vicenda, con parti incalzanti di forte propulsione ritmica. Al termine di ciascun percorso ritorna il tema di Mozart, che ha il potere di rischiarare per un fugace attimo il buio della notte. Nel finale la melodia del carillon procede a frammenti fino a che lo spazio sonoro viene invaso da un corale sospeso e allucinato, eseguito come una sorta di perorazione da tutta l’orchestra.

Come è stata la gestazione dell’opera?

Ho cominciato a lavorarci appena ho concluso la partitura della Tempesta, il dramma giocoso che andrà in scena al Teatro Carignano di Torino il 13 febbraio. Anche in quel caso lo sguardo sembra rivolto al passato, perché la musica si ispira ai secentesci Masques (i tipici intrattenimenti teatrali della corte inglese, che mescolavano canto, danza e recitazione, ndr)attribuiti a Purcell. Ma ovviamente non si tratta di fare dei semplici calchi: sarebbe un’operazione insensata. Non credo nell’utilità di tagliare i ponti con la tradizione, ma nemmeno nella possibilità di essere direttamente influenzati da musiche scritte in secoli che ormai sono davvero lontani.

Dunque che cosa rappresenta Mozart per un compositore del nostro tempo?

Il rapporto tra Mozart e un autore di oggi è lo stesso che può esserci tra Dante e uno scrittore contemporaneo: esiste ed è fondamentale, ma è nascosto nelle pieghe più profonde della scrittura.Dal mio punto di vista l’aspetto più affascinante di Mozart è che la sua musica non si fonda, come vuole lo stereotipo, sull’equilibrio, quanto piuttosto su un’irripetibile e seducente alchimia di disequilibri. E questa è la più grande lezione di modernità che si possa immaginare.

Tra le date leggendarie nella storia della musica va annoverata quella del 22 dicembre 1808. In quella serata prenatalizia al teatro an der Wien di Vienna Beethoven presentò per la prima volta al pubblico tre lavori che oggi sono universalmente riconosciuti come monumenti dell’arte: la Quinta e la Sesta Sinfonia e il Quarto Concerto per pianoforte in do minore. Nel ruolo del solista c’era lo stesso compositore. La prémiere suscitò vasta eco sulla stampa e a proposito del Concerto op. 58 il critico della “Allgemeine Musikalische Zeitung” sentenziò che si trattava del “più straordinario, personale, elaborato e difficile” lavoro beethoveniano per strumento solista. Fu subito chiara dunque l’originalità di questo capolavoro che ancora oggi appare tanto peculiare rispetto agli altri quattro concerti per pianoforte dello stesso autore.

La novità nasce dal fatto che l’op. 58 è in controtedenza rispetto ai canoni dell’epoca che prevedevano la massima espressione di virtuosismo del solista e la riduzione dei compiti dell’orchestra. In questo Concerto Beethoven riesce nell’impresa di ricreare quell’equilibrio tra solo e tutti che dopo Mozart sembrava perduto. “Ma il risultato – spiega Andrea Lucchesini – è ottenuto attraverso una costante tensione drammatica e un procedimento dialettico che pervade l’intera opera”. Partitura alla mano, chiediamo al pianista disegnalarci i principali elementi di originalità dell’op. 58: “Questo Concerto – prosegue il solista – sorprende fin dalle battute iniziali, quando il pianoforte inaspettatamente precede l’esposizione orchestrale con quel celebre inciso di note ribattute che risuona come una sorta di libera improvvisazione. L’inesauribile fluire di variazioni di quel tema, alternate a brevi digressioni liriche, percorre tutto il primo movimento. L’Andante con moto non è meno originale, soprattutto per la sua particolare sonorità: emergono soltanto gli archi, mentre il pianoforte utilizza (tranne che nell’episodio dei trilli) il pedale a “una corda”. In questo modo la tavolozza timbrica, dai toni smorzati e sfumati, crea un’atmosfera di struggente intimità. La lucentezza sonora prorompe invece nel Rondò conclusivo, dove la scrittura si scioglie in un brillante virtuosismo e il finale, per la prima volta nei concerti di Beethoven, vede uniti solista e orchestra”.

Non è difficile capire perché Schumann volesse intitolare l’op. 120 “Fantasia sinfonica”. L’etichetta, tuttora in uso, di “Sinfonia” non rende infatti giustizia a questo grandioso affresco che elude i modelli formali imposti da una secolare tradizione. Dopo Beethoven cimentarsi con il genere sinfonico appariva il più arduo dei compiti e da Schubert in poi tutti i maggiori compositori cercavano nuove strade da esplorare. Ne fa fede l’impianto formale di questa op. 120 che anticipa esiti tardoromantici: le sinfonie di Franck e i grandi poemi sinfonici di fine Ottocento. Nella “Quarta” di Schumann, dopo essere stati presentati nel movimento iniziale, i temi principali sono sottoposti a un inesauribile procedimento di variazione e percorrono tutta la partitura: una tecnica di scrittura che all’epoca costituiva un’assoluta novità. Non non c’è quasi più traccia di quella contrapposizione dialettica caratteristica della produzione beethoveniana. Piuttosto la stretta interdipendenza tematica dei quattro tempi sortisce un effetto soprendente di omogeneità e naturalezza. Il primo motivo dell’Allegro iniziale ricompare trasformato nella Romanza (dopo il tema principale) e all’inizio dello Scherzo, mentre quello che caratterizza la parte centrale della Romanza ritorna nel Trio: questi sono soltanto gli esempi più vistosi, ma l’elenco potrebbe continuare a lungo.

Un’annotazione cronologica appare significativa: la Quarta Sinfonia nasce contemporaneamente alla Prima, nel 1841. La sua prima esecuzione, avvenuta a Lipsia nell’autunno di quell’anno, lasciò insoddisfatto il compositore che dieci anni dopo decise di ritoccare la strumentazione, ma gli studi hanno chiarito che la differenza tra le due partiture è minima. Dunque Schumann il suo capolavoro sinfonico lo aveva creato ad appena 31 anni, quando il suo unico precedente era la “Sinfonia della primavera”, una pagina di seducente freschezza ma decisamente meno ambiziosa, mentre l’altro caposaldo, la “Renana”, sarebbe arrivato soltanto dieci anni dopo, nel 1850.

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